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la grande giornata. 95

il mercoledì, nè mai: si pentì di esser salito lassù, dove nessuno si curava di lui, dove di lui nessuno voleva sapere: e giurò e sacramentò di non leggere mai più il giornale, di non leggere mai più nessun giornale, di non parlare mai più nè di arte, nè di politica. Ma il mercoledì era ancora in Piazza di Montecitorio, desiderando quello che aveva disprezzato tre giorni prima, ritraendo una quantità di pronostici dalle cose. — Se incontro un cavallo bianco, buon segno — ma non ne incontrò. — Se vedo un gobbo, buon segno — e ne incontrò uno, verso gli Orfanelli, un gobbo vero, gobbo davanti e di dietro. Pure esitò ancora, prima di salire, prese un wermouth al caffè, per rianimarsi. Oh avrebbe parlato, oggi, a questo redattore capo, lo avrebbe forzato ad ascoltarlo, con l’eloquenza del dolore, gli avrebbe detto, gli avrebbe raccontato tutto!

Trepidante, salì su: e dette il suo biglietto da visita all’usciere, perchè lo portasse di là, al redattore capo.

“Lei è il signor Joanna?” chiese l’usciere, un Toscano.

“Sissignore.”

“Ho una lettera per lei.”

E la trasse di sotto un mucchio di fasce. Riccardo la tenne in mano un momento, senza leggerla; e gli pesava fra le dita, come piombo.