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94 la grande giornata.


“Dove?”

“Al Tempo, di Napoli: un povero giornale,” e ingoiava a stento.

“Sa l’orario? Bisogna venire dalle quattro alle sette.”

“Sissignore; potrei anche venire da mezzogiorno alle due.”

“Non servirebbe. A rivederci, signore.”

“Debbo ritornare?”

“Ritorni.... mercoledì, sì, mercoledì.”

E chinato il capo si rimise a scrivere. Riccardo se ne andò, col sangue alla testa, senza neppure chiedere che onorario vi sarebbe stato. Era precipitato giù, al fondo di tutte le sue speranze. Sperava, aveva sperato che questo redattore s’interessasse a lui, che lo interrogasse, che lui, infine, potesse confessare il suo desiderio di scrittore assolutamente inedito: sperava che sentendolo figliuolo di giornalista gli avesse chiesto di suo padre, largamente: aveva l’aria così bonaria, quel signore, che Riccardo gli avrebbe buttato le braccia al collo alla più piccola parola affettuosa. Ma come tutte le persone molto occupate, quel signore gli aveva detto cortesemente quello che era necessario, e niente altro. Ma Riccardo era fuori della realtà: quel ricevimento così semplice gli pareva una crudele delusione. Decise di non ritornare, nè