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la grande giornata. 91

cima dalla nervosità del redattore avido di idee, scrivendo su quelle cartelle bianche, empiendo di segni cabalistici quelle cartelle giallognole e molli che sono le bozze di stampa — gli pareva di esser già lì, nell’ingranaggio, rotellina minuscola della macchina possente, granello di polvere travolto in quel turbine quotidiano, lieto di quel travolgimento, felice nella sua umiltà — e tendeva le braccia, come un bimbo alla madre, invocando.

“O papà, o papà, come posso fare?” gridava, come un fanciullo ammalato.

Ma un’ultima vergogna lo colse, in Piazza Montecitorio, quando andava a offrirsi. Una fiamma colorì il suo volto bianco e bello di convalescente: ed esitante, si mise per la Via degli Uffici del Vicario, voltò per la Maddalena, uscì al Pantheon, camminando meccanicamente, fremendo all’idea di esser preso per un mendicante. Fu più forte di tutto la passione, e Riccardo ritornò per Piazza Capranica, deciso, affrettando il passo, volendo abbreviare quella prova. Era di domenica: per le scale dell’ufficio, tre o quattro persone scendevano, discutendo e ridendo: egli chinò il capo, salì presto:

“Vorrei parlare al redattore capo.”

“È occupato: abbia la bontà di aspettare,” disse l’usciere con una certa cortesia importante.