di capelli castani,
che si brizzolavano, con un viso scialbo e inespressivo e un paio di
mustacchi castani, anche più brizzolati dei suoi pochi capelli, sempre
chiuso in un thait nero, incravattato e inguantato di nero, il giudice
Camillo Notargiacomo era funebre. Era ammogliato? Vedovo? Separato da
una moglie, da un’amante, da una serva-padrona? Non era, forse, quella
casa di aspetto coniugale, il covo singolare di uno scapolo? Egli ci
viveva solo: il grande letto coniugale serviva a lui solo: sovra un
angolo della tavola da pranzo, egli divorava, in perfetto silenzio, un
pranzo venuto da una trattoria poco lontana, un pasto che egli
inghiottiva senza guardarlo; nel salotto, pieno di mensolette, di
tavolinetti, di ritratti nelle cornici, di statuine, egli non si fermava
mai. Nella sua stanza da letto vi era, anche, presso la finestra, una
piccola scrivania