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lasciavano, Anna ritornava, seria a un tratto, senza sorridere più. Perchè non sorrideva più, quando tornava a lui? Don Biagio Scafa gridava allegramente il comando, le coppie lo seguivano ridendo, scherzando, voltandosi un poco, tre o quattro volte vi furono degli imbrogli di figure, per lo più generati dalla ignoranza di Domenico Maresca, si dovette tornare tutti al posto, al grido: pasticciotti, en place, riprendendo sempre, subito dopo, con una lunghezza di figure, di concertini, che fiaccò tutte le forze materiali e morali di Domenico. Alla fine ogni cosa turbinava, nella sua mente: e non capiva più nulla, gli pareva che le mani, le braccia, le persone di Mariano Dentale e di Anna Maresca si chiamassero, ogni secondo, che Anna sorridesse come non mai aveva veduto sorriso sulle labbra di lei, che le risa di don Biagio e degli altri, fossero a suo scherno, che la musica ridesse di lui. Di botto, il triste sogno finì. La quadriglia era terminata. Entravano i due camerieri coi gelati. Uno di essi, passando vicino allo sposo, gli disse, piano:

— Eccellenza, vi è una persona che vi vuole, in cucina.

— Chi è?

— Non ha voluto dirmi il suo nome.

Quando entrò nella cucina, Domenico Maresca, col viso scialbo, bruciante di strisce rosse che il ballo e le inquietudini segrete gli avevano messo ai pomelli, stanco e oppresso e anelante alla fuga, la persona, la donna che lo attendeva, era ritta nel vano del balcone, e gli voltava le spalle. Egli non