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46 storia di due anime


La luce batteva sovra quella massa folta di capelli oscuri, mezzo disfatti sul collo, sovra la metà di un piccolo orecchio bianco appena roseo, ove una grossa pietra verde pendeva, una malachite, e disegnava un profilo abbassato, giovanile, fine. L’uomo, seduto un po’ lontano da lei, abbandonava sulla sedia il suo corpo tozzo, così goffo, e sotto la luce vivida le ombre giallastre diffuse sul suo volto, un poco gonfio, scialbo, meglio si vedevano, si vedevano anche le radure dei capelli sulla fronte; e le radure dei baffi che crescevano male, incolti, di un colore biondo biancastro. Pure, gli occhi di Gelsomina, risollevandosi, si fissarono in quelli di Domenico, con un effluvio di simpatia, di fiducia, di speranza. E, ancora una volta, ella parve delusa. Si accorse che, da prima sera, Domenico era profondamente distratto: e che egli aveva dovuto fare uno sforzo, per interessarsi a ciò che ella gli aveva narrato. Gelsomina non disse nulla: un sospiro le sollevò il petto.

— È tardi, Mimì — ella riprese. — Che fai tu, adesso?

— Chiudo la bottega e vado a casa.

— Direttamente?

— Direttamente.

— E là, che fai?

— Mi spoglio, mi corico, dormo.

— Hai sonno? Sei stanco?

— Spesso la stanchezza non mi fa dormire — replicò lui, con cera turbata, quasi che prevedesse l’insonnia, per quella sera.