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storia di due anime 17


montata con lui; nessun altro aveva raggiunto la sua perfezion d'arte, neppure il suo lontano nepote Domenico. Anzi, qualcuno di essi aveva stentata la vita, perchè, o non intendeva il lavoro, o non lo amava, o era stato sfortunato: tutti, poi, erano morti presto, prima dei cinquant'anni, corrosi da quel mestiere faticoso e pericoloso, avvelenati da quell'aria carica di odori malsani, umida e stagnante, consunti dal respirare quei corpi metallici, minerali, che eran necessari alla composizione delle loro statue. Anzi, uno zio, scapolo, di Domenico Maresca, a cui egli, pare, somigliasse molto, si era spento a trentadue anni, divorato da una piccola febbre quotidiana, datagli, dicono, da un tumore nel fegato. Suo padre, di cui egli era unico figlio, neanche aveva toccato i cinquant'anni, ed era morto di una violentissima colica epatica, lasciandolo a ventidue anni, orfano, poichè Domenico Maresca aveva perduto sua madre, piccolissimo; non se ne ricordava neppure, e suo padre, interrogato, talvolta, evitava di parlarne, troncava il discorso, un po' turbato, e subito diventato muto e triste. Aveva assai lavorato, suo padre: e, morendo, aveva lasciato a suo figlio Domenico qualche migliaio di lire, accumulate soldo a soldo, dovute a grandi privazioni, ad una vita oscura e quasi povera, a un lavoro costante.

Questo lavoro, malgrado i suoi pericoli e le sue incertezze, malgrado le sue limitazioni e le sue convenzionalità, Domenico Maresca lo amava. Come, ora, lo sciancatello, figliuolo di un suo compare

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