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combattendo contro il suo torpore: quando, anche, lo colpì il puzzo di uno stoppino spento nell’olio, un puzzo forte e disgustoso che finì di svegliarlo. Aprì gli occhi: era all’oscuro. La piccola lampada, accesa innanzi a una immagine di san Domenico Guzman, la piccola lampada, con cui egli era stato avvezzato a dormire, da quando era piccino, consuetudine diventata invincibile, si era spenta. Ciò accadeva, talvolta, quando la serva si dimenticava di rifornirla di olio, dell’acqua, o dimenticava di cambiarvi il lumino consunto. E, immancabilmente, questo piccolo incidente, aveva il potere di risvegliare Domenico, qualunque fosse il sonno in cui era tenuta e abbattuta la sua persona.

— Bisogna riaccendere la lampada — egli pensò, male risvegliato, ancora.

Con la mano, cercando di non far rumore, tastò sul tavolino da notte, per cercarvi la scatola dei fiammiferi. Non la potette trovare ed ebbe un moto di delusione e di lassezza, con la testa sull’origliere: temeva di risvegliare Anna; costei era abituata a dormire sempre, con la lampada accesa o spenta, e s’irritava assai di essere svegliata, quando Domenico faceva del rumore, per riaccendere la lampada, burlandosi, amaramente, di lui, come di un bimbo pauroso che non sapesse dormire all’oscuro. Domenico rimase qualche minuto immobile, sveglio, guardando nell’ombra, tendendo l’orecchio, a udire il respiro di Anna.

— Dorme profondamente — disse, fra sè.