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storia di due anime 135


— Non vi è stato... ? — esitò lui, a domandare.

— No... niente... meglio così. Come avrei fatto, Mimì? Mi sarei dovuta buttare dalla finestra.

Essi si guardarono, un momento, ambedue stravolti. Stavano innanzi a quella bottega, ove si lavorava, a grandi colpi di ferro e, vicinissimi, parlavano piano. La gente che passava, o non si accorgeva di loro, andando ai suoi piaceri e ai suoi doveri, o, accorgendosene, aveva un sorriso maligno, vedendo l’interesse di quel colloquio, credendo a discorsi amorosi o, piuttosto, a discorsi sensuali, fra quella giovine il cui aspetto, ahimè, non ingannava nessuno e quell’uomo giovine, smorto, che l’ascoltava attentamente.

— Ascolta, Mimì, ascolta, — ella proruppe, ma pianissimo, dopo essersi guardata intorno, e mettendogli una mano sul braccio — due o tre volte, mi son voluta buttare dalla finestra...

— E chi ti ha fermato, chi ti ha fermato? — chiese lui, ansiosamente.

— La paura. Ho venti anni. Ed ero in peccato mortale! E chi si uccide, è chiaro, muore in peccato mortale!

— Ma perchè volevi morire, Gelsomina? — esclamò lui, obliando di chiamarla col suo soprannome.

— Faccio una vita disperata, Mimì — rispose lei, chinando il capo sul petto.

Tacquero, un poco. Come il senso della fatalità passava sulle loro teste, sulle loro vite, egli, infelice, tentò reagire, e rispose: