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122 storia di due anime


anche, brutalmente, il diritto di andarla a riprendere, facendogli intendere, chiaramente, che voleva fare il suo comodo e non esser infastidita da lui.

— Debbo servire? — domandò timidamente, dalla porta, Mariangela, al suo padrone che, con la testa fra le mani, coi gomiti puntati sulla tavola da pranzo, cercava vincere i suoi nervi tesi dallo spasimo.

— Servi pure.

Ma della buona zuppa di erbe fumanti, egli non prese che una cucchiaiata: brancicò, col coltello e con la forchetta, un pezzo di carne allesso e lasciò stare tutto. Si passava, macchinalmente, la mano sulla fronte, volendo calmarsi, volendo riprendere un po’ di tranquillità, sempre con la paura che qualcuno indovinasse la cura insopportabile che aveva dentro. Anche di Mariangela aveva soggezione, quantunque ne conoscesse la devozione assoluta. E tentò, con uno sforzo, di chiarire, alla sua domestica, quell’assenza così strana, la padrona che lascia la casa e il marito, per andarsene a pranzo, da parenti che egli non vedeva mai, in un rione lontano, per ritornare chi sa a quale ora della sera, forse avanzata.

— Me lo imaginavo... — egli mormorò, come fra sè... — Era naturale che donna Francesca Dentale la trattenesse a pranzo... è san Gennaro, oggi... aveva un bell’abito, Anna, oggi?

— Sissignore. Quello nero, tutto ricamato di perline.

— Oh! E ti ha detto nulla, per me?