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insopportabile, per lui, udir nominare sua madre da Anna: poichè ella lo faceva glacialmente, con una malvagità premeditata, guardando negli occhi suo marito, costringendolo ad abbassarli, costringendolo a tacere e a divorare la sua amarezza.


Alle otto di sera, un sabato, di settembre, Mimì Maresca bussò in fretta alla porta di casa sua, in via Donnalbina. Ordinariamente, rientrava alle sette, per il pranzo: ma, in quel giorno, il lavoro forte che vi era stato in bottega, il viavai di clienti, degli ordini da dare a Ursomando e allo sciancato Nicolino, per il lunedì, gli avevano portato via più di un'ora.

— È tardi, Mariangela, ho fatto tardi — disse lui, alla vecchia domestica che era venuta ad aprirgli, passandole avanti. — Il pranzo sarà pronto?

— Sì — rispose costei, con un accento singolare.

In un minuto, Mimì, aveva percorso le tre piccole stanze dell'appartamentino. Anna non vi era. Sconvolto, egli corse in cucina, ove la serva si affaccendava attorno ai fornelli.

— Mariangela, dove è la signora?

— È uscita.

— Uscita? Da quando?

— Dalle quattro; prima, forse.

— E non è tornata? Alle otto? Come è possibile?