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forse, ma bonario, superstizioso, forse, ma non mancante di tenerezza: e Mimì chinava il capo, rinunziava a mangiare certi cibi, in certi giorni, rinunziava a certe ore di riposo, nella stagione estiva, rinunziava a celebrare certe feste, rinunziava a certi pellegrinaggi, in certi anniversarii. Ella non transigeva. Era una signora: e tale voleva restare, e tentava, inutilmente, diceva lei, di dargli qualche gusto di signore. Ella si era rifiutata, violentemente, a ricambiare nessuna delle visite fattele, con pompa, dai parenti Maresca. Solo negli otto giorni, dopo le nozze, in grande lusso, col suo più bell'abito, coi suoi più ricchi gioielli, ella aveva acconsentito a visitare la moglie del compare di anello, donna Gabriella Scafa, la ricca moglie del Re della Immagine, quel marito e quella moglie che dominavano, con un imperio sovrano, tutta la regione di san Biagio dei Librai, sino a via Tribunali, sino a Forcella, sino al Duomo, dovunque una piccola o grande bottega di figure e di figurelle esponesse le sue immagini, quei possenti Scafa che il trionfo della oleografia sacra, a buon mercato, aveva arricchito. Con costoro, sì, una o due volte l'anno, in cerimonia, accompagnata da Domenico Maresca, trattenendosi un quarto d'ora, scambiando delle frasi convenzionali, senza nessuna cordialità: e ricevendo la visita di ricambio, allo stesso modo, in via Donnalbina, mandando a chiamare Mimì in bottega e portando, Anna, la sua più ricca vestaglia. A nessun altro, una visita: neppure alla zia