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storia di due anime 113


bito, aggrottate le sovracciglia, Don Carluccio aveva assunto un contegno offeso:

— No, no, caro Mimì, non scherziamo! Quando mia figlia è con me, voi nulla dovete sapere. Sono il padre e basta. È già molto, avervela data in moglie. Non intendo sopportare altro.

Quanti Dentale esistevano, e loro affini, e amici loro, tutti in rapporto con Anna e che costei vedeva sempre, mentre suo marito si affannava a plasmare i visi rosei e ridenti agli angioletti, intorno all’Assunzione di Maria, e dipingeva di un bianco latteo le nuvole che portavano in Cielo la Vergine! Abitava, tutta questa gente, nei quartieri più eccentrici, più lontani fra loro, a santa Teresa di Capodimonte, all’Arenaccia, a Montecalvario, a santa Lucia, a Basso Porto, a Materdei; ve ne era persino una, Francesca Dentale Catalano, oltre la Riviera di Chiaia, alla Torretta! E Mimì si figurava Anna, andando a piedi, alle visite più vicine, in tram verso quelle più accessibili, in carrozza da nolo alle più lontane, se la figurava... dove, dove, posto che egli si confondeva, in tanta parentela, in tante amicizie, con tanti nomi? La sera, egli, malgrado che sapesse di annoiarla, non poteva reprimere la domanda:

— Sei uscita?

Per lo più, ella non rispondeva alla prima richiesta, in una di quelle sue distrazioni tanto opportune.

— Sei uscita, poi, Anna? — insisteva Mimì.

— Già.

SeraoStoria di due anime. 8