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e secondo il costume dei diversi santuarii, alcune di tutto stucco, assai più difficili a compiere, e tutte smaglianti delle brillanti tinte che il pennello e la stecca ne ritraevano. Onde, in quell’estate, la seconda dopo le nozze di Domenico, mentre l’afa del luglio opprimeva l’aria e il respiro delle persone, il fondo della bottega dei santi era restato il medesimo, ma i personaggi santi erano cangiati completamente. Teneva il centro della bottega, ora, una Immacolata Concezione, molto alta, una scoltura e una pittura, ove l’arte del pittore di santi aveva bisogno di tutte le sue curiose risorse, per raggiungere il vero tipo: una statua, tutta a fondo di legno, ricoperta di stucco, multicolore, la tunica celeste pallido e cosparsa di stelle di oro, il manto azzurro cupo, a pieghe svolazzanti e pure immote, la testa scoperta con capelli biondo-castani, disciolti e inanellati sul collo e sulle spalle, le mani congiunte sul petto, i piedi nudi e rosei, calzati di coturni antichi traforati e, sotto i piedi, il globo, e, sul globo, sempre sotto i piedi della Vergine, un arco di luna inargentato, e il serpe, il serpe di Eva, vinto e calpestato dal picciolo piede della Purissima. Azzurro, rosso, roseo, lilla, grigio, verde, oro, argento, bianco, tutti i colori, tutte le tinte, formavano trionfo in questa statua, che era di carattere moderno, come moderno è il dogma della Immacolata Concezione. Dirimpetto ad essa, ma un poco più piccolo, era un san Gennaro, forse il primo vescovo di Napoli, il secondo, forse, dopo sant’Aspreno, un san Gennaro, cioè, il patrono di Napoli, colui