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alla scuola 87


coi capelli un po’ arruffati, con gli occhi lucenti, stanche, ma felici, felici di quelle ore passate fra le bimbe, felici di quel primo contatto, di quelle prime lezioni date timidamente, contente di quella nuova dignità conquistata. E narravano alle altre quello che avevano spiegato alle piccine, l’addizione sul pallottoliere, i dittonghi e la maglia di calza: dicevano che le piccine erano tanto carine, tanto intelligenti, alcune tranquille, alcune insolenti, che la maestra titolare lasciava fare tutto alla tirocinante, che insegnare era un po’ duro, ma che infine diventava un piacere. Poi venivano i caratteri delle piccole descritti minutamente: Orefice è buona, ma è stupida e si succhia il mignolo: bisogna tenerla sempre d’occhio — Abbamonte è bellina, ma è zoppa, poveretta, non può fare la ginnastica — Chiarizia è insolente, risponde male e brontola, ma è figlia di un segretario municipale, non si può sgridarla molto. — Tutte quelle che avevano fatto il tirocinio prima di me, mi avevano detto: