in cui aveva avuto sempre fame. Dalla mattina cominciava le sue peregrinazioni. La strada dei Mercanti, lungo budello contorto, era la sua casa, ed ella ne conosceva tutte le viuzze, i vicoli ciechi, gli angiporti paurosi, le botteghe nere, i ruscelli fetidi, i portoncini angusti e bruni, illuminati di una luce fioca e grigia, le scalette smussate. Andava e veniva, senza posa, dalla piazzetta di Portanova, donde era il suo punto di partenza, sino alla cappella del Cerriglio, dove era il suo punto di arrivo. Si fermava a piazzetta di Porto, faceva un mezzo giro e riesciva all’antico Sedile, dava uno sguardo al simulacro del dio Orione attaccato alla muraglia che il popolo chiama Pesce Niccolò, poi saliva per Mezzocannone, bagnandosi i piedi nelle acque azzurre, rosse, violette dei tintori che lavoravano in certi antri lugubri, intorno a caldaie nere, agitandovi un miscuglio misterioso.
Arrivata su, non osava andare più oltre e ridiscendeva ai Mercanti; non dava neppure un’occhiata alla taverna aperta sotto un