seggia qualche ozioso, con le lenti azzurre: intorno ai tavolinucci del caffè Florian, due o tre veneziani sonnolenti guardano nel fondo delle loro tazze, con gli occhi socchiusi. L’ombra del campanile si allunga, bizzarra, sulla piazza. I colombi dormono sul cornicione del palazzo reale, sulle braccia delle statue; ogni tanto se ne stacca uno, fa un volo rotondo, per aria, senza toccare terra, e ritorna al suo posto. A un tratto si ode un largo fruscìo, un batter d’ali sordo e precipitoso, e tutto lo stormo dei colombi vien giù. In mezzo ad essi una bimba, con una gonnelluccia corta e uno scialletto che le avvolge il busto, cava dalla tasca manate di granturco e ne lascia filtrare i grani fra le dita. I colombi formano intorno a lei un circolo fitto, fitto, pizzicandosi, beccandosi, per arrivare al granturco: lei sta nel centro, piccola, con una testolina minuta, con una grossa treccia fulva, mezzo discinta sul collo. Mentre cadono i grani ella guarda i colombi, fissamente, con certi occhi verdini, glauchi. Quando non trova