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— Era molto difficile. Ma non ho neppure tentato.

Un silenzio breve, fra i due, presi dal loro interno travaglio.

— Almeno, Luigi, in Sanità, non devi combattere! Non sei costretto a versare il sangue! — esclamò, a un tratto don Giulio Lanfranchi — I preti non si battono, nel nostro grande esercito italiano...

— Se lo chiedono, sì, Giulio: sono, allora, volontarii, e diventano combattenti — disse freddamente, guardando i quadri delle pareti, don Luigi Fratta.

— Luigi, Luigi, che dici? Un prete uccidere? Un sacerdote della pace e dell’amore, uccidere? — e tremava, la sua voce di alta tristezza e di un santo sdegno.

— È guerra, fratello mio... — disse l’altro, sogguardando l’amico suo. — Ma rassicurati, anima bella: sono in Sanità e aiuterò gli altri a sopravvivere. — E un affettuoso sorriso gli spianò il volto duro e contratto, mentre egli stendeva la mano a toccare quella del suo amico.

Un tenerissimo sorriso, s’irradiò sul volto pallido e gentile di don Giulio Lanfranchi.

— Ma potremo, al fronte, dir messa, Luigi? Dove? Come? Quando?

— Non lo so. Nessuno di noi sa niente: nessuno di noi capisce niente... E pare che nulla si debba sapere. Siamo fantocci.

— La messa, Luigi, al campo!

— Tu lo sai, Giulio, che anche in pace, la messa non è uno stretto obbligo, per noi.

— E, tu non la dicevi ogni giorno, brutto Luigi! — brontolò, affettuosamente.

— Sai, talvolta si è stanchi alla sera... si è distratti, la mattina... e Dio, allora non ci gradisce...

— Non so... Non so risponderti, Luigi. Io non potrei vivere, senza messa. E al campo, che sarà?...

L’altro fece un cenno vago, d’ignoranza. Essi tacquero ancora. Poi, don Luigi Fratta, il soldato in grigio verde, chiese all’amico: