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quadro ovale centrale. Il prete dette un’occhiata, a diritta e a sinistra, la sacristia pareva del tutto deserta. Ma non era. In fondo, dietro il banco ove si deponevano per indossarli e, dopo, per riporli, i paramenti sacri, un’ombra umana si muoveva, andando da un armadio aperto, al banco. Una voce sottile salutò:
— Buongiorno, don Lanfranchi. Sia lodato Gesù e Maria!
— Oggi e sempre! Buongiorno, Franceschino — disse il piccolo prete, che, a capo scoperto, si era segnato ancora una volta.
Franceschino, il sagrestano, un uomo alto e magro, vestito tutto di nero, con una cravatta bianca intorno al collo esile, e delle lunghe mani agili, abituate a toccare le sacre vesti e tutti gli arnesi della cristiana fede, si accostò pian piano al giovine sacerdote.
— Avete fatto assai presto, don Lanfranchi: ci vorrà un’ora per chiamare la prima messa.
— Sì... ho fatto presto — rispose, pensoso, don Giulio Lanfranchi. — Credo di avere sbagliata l’ora... Ma voi, Franceschino, avete fatto più presto di me...
— Oh io, don Lanfranchi, abito qui dietro... E quando non posso dormire, a casa, me ne vengo a chiesa... Questa è la vera casa mia...
— Anche io, talvolta, non posso dormire la notte... — disse il prete. — Stanotte, per esempio..., ma non abito neppure vicino, a San Camillo... In chiesa non vi è nessuno, Franceschino?
— Nessuno: ma vedrete, vedrete, fra mezz’ora, per questa prima messa che si dedica a chi parte, a chi resta solo... una folla di donne, di madri, di mogli...
— Poverette!
— E di uomini, anche, don Lanfranchi... e si fanno la comunione... alcuni già vestiti da soldati...
— Preparate, è vero, per molta gente? — chiese il sacerdote, guardando il lungo e magro sacrestano.