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— Pecore al macello siamo: carne da cannone. Non si capisce niente: e niente si deve sapere o capire — soggiunse, cupamente, l’uomo, guardandosi intorno, con i suoi grossi occhi sporgenti, carichi di dolore e di collera.
Tacquero, i due, oppressi, abbattuti. Egli si distaccò dal letto coniugale e prese, dal cassettone, le carte che vi aveva esaminate e riunite. Poi, si venne a sedere, sovra un’altra sedia presso sua moglie. E, parlandole, sottovoce, le metteva fra le mani, ad una ad una, quelle carte.
— Mariuccia cara, io credo che potrete tirare avanti, con questi introiti del chiosco, se Bettina e Cecchino sanno fare. Sapranno fare! Però, tu cerca di vivere con la massima economia: non vi è più il tuo uomo, moglie cara, che pensava sempre a farti viver bene...
— Cesare, Cesare... — e si comprimeva la bocca, per non fare scoppiare i singulti.
— Economia, economia! Se ti mancasse denaro, eccoti il libretto della Cassa di Risparmio: vi sono milletrecento lire. Per carità, Mariuccia, toccale solo se è necessario! La pigione di casa è pagata per altri quattro mesi, ecco la ricevuta... Dicono che vi sarà un decreto, per pagare la metà o niente, delle piccole pigioni... Speriamo! Io non posso aiutarti, Mariuccia, dal fronte, perchè sono un misero fante... niente posso fare...
— Ma Cesare, porta via qualche cosa di denaro! Tu patirai: perchè devi patire?
— E debbo patire Mariuccia, purchè voi abbiate quel che vi serve... Non un soldo, Mariuccia, porterò via.
— Oh, oh, oh! — si lagnò lei, quasi affogata dalla pena.
— Andiamo, andiamo, moglie mia — egli disse, tutto tremante di emozione, prendendole le mani. — Se gli affari vanno bene, mi manderete qualche lira...
— Sì, sì, sì!
— O ve la manderò io, chi sa mai, tutto può
M. Serao, Mors tua... | 8 |