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— Cesare, Cesare, pensa al pupo, pensa ad Augustarello...

— Ma lo sai, moglie mia, che per lui mi dispero, per questa cara creatura di Dio! — e la sua collera si scioglieva in dolore. — Ah quanto te lo raccomando, sto pupo, tienilo in core, non lo lasciare, mai, Mariuccia, se è vero che mi vuoi bene...

— Non dubitare, non dubitare, Cesare...

— Lo vedi, Mariuccia, che Bettina e Cecchino andranno a lavorare, buoni figli miei, e anche Bicetta, così piccola, è brava, lo so, in casa... Ma questo Augustarello, così piccolo, così innocente, senza il suo papà, avrà bisogno che la mamma sua se lo tenga stretto stretto, al suo cuore...

Adesso, agitatissimo, Cesare Pietrangeli andava e veniva, col suo passo pesante: Mariuccia sogguardava il marito e la culla, e ogni tanto faceva un gesto, per calmarlo, temendo si svegliasse il bimbo. Il marito si fermò, un poco, presso il letto coniugale; taceva, ma scuoteva il grosso capo, come se nulla riescisse a vincere il tumulto del suo spirito, fra il cruccio e lo sdegno. Ogni tanto levava il pugno chiuso, contro un nemico assente. E ogni tanto, parlava a sè, concitatamente o lentamente: la donna ascoltava, a capo chino, a spalle alte, con qualche gesto, ogni tanto, anch’essa, gesto d’inevitabilità, gesto di rassegnazione.

— Io l’ho fatto, al mio tempo, il servizio militare... Sono stato un buon soldato... là sta il libretto di congedo... Ma ora è un’altra cosa, è guerra... ora s’ha da uccidere l’austriaco. Mariuccia, perchè debbo uccidere l’austriaco? Dillo, dillo!

— Se no, l’austriaco ti uccide, Cesare...

— E perchè, mi uccide? Che gli ho fatto, a costui? Che mi ha fatto? Non lo conosco: non mi conosce...

— Noi, poveretti, non si capisce niente: noi, non si sa niente — mormorò la donna, inconscia, vagamente.