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braccia, cantandogli una ninna nanna gutturale, a bocca chiusa...

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Sul cassettone, dal piano di marmo bianco, una lampada votiva era accesa innanzi a una statuetta della Madonna del Buon Consiglio. Curvando il volto verso quella piccola luce, Cesare sogguardava, con attenzione, in certe carte, in certi documenti, in certi libretti, che aveva tirato fuori dal cassettone. Li leggeva attentamente: li rileggeva: e poi li deponeva, un sull’altro, accanto a sè, restando pensoso. Nella sua culla, su cui era stata distesa la lieve tendina di mussola bianca, l’infante dormiva. Accanto, sovra una sedia, addossata al muro, stava seduta Mariuccia, tutta raccolta in sè, con le mani sotto il grembiule:

— Mariuccia?

— Cesare?

— Che fai, moglie mia?

— Dico il rosario.

— Non hai sonno?

— No. E neppure tu.

— Neppure io. Ho da mettere in ordine queste carte... per consegnartele...

— Ma non è che parti, domattina? — ella domandò, piano, ma fremente di angoscia.

— Alle sei, domattina, debbo essere al Distretto... — disse lui, fosco. — E mi terranno... e non ci potrò tornare, più, in casa. Mariuccia... Tanto non ci tornerei, non avrei coraggio... con questi ragazzi miei... E poi, e poi, mi manderanno in su, a crepare... Gente infame!

— Cesare!

— Possano morire ammazzati loro, che mi levano di casa mia, dai figli miei... Ammazzati, tutti — bestemmiò, in uno scoppio del suo represso furore, il popolano.

— Cesare, Cesare, non bestemmiare, per carità, Dio ti punisce! — ella esclamò, spaventata.

— E più punito di così ho da essere, Mariuccia? — gridò l’uomo, alzando le pugna chiuse al cielo.

M. Serao, Mors tua... 6