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l’ora avanzata della notte: Cesare Pietrangeli, sempre con il bimbo in collo, si sedette presso la tavola da pranzo, che era stata sparecchiata da un po’: Mariuccia, sua moglie, pallida, alta, dai neri capelli lucidi, dagli occhi di quella tinta bruna e opaca, che rende così attraenti le popolane romane, con quella sua espressione accigliata di minente, appena appena raggentilita, gli si era seduta, alle spalle a capo basso. E i tre figliuoli, la primogenita, Bettina, la quindicenne, era seduta presso la tavola, un po’ abbandonato il corpo, reggendo la biondissima testa con una mano, mentre le sue trasparenti palpebre arrossite, dicevano il suo lungo pianto; Cecchino, il secondo, si teneva in disparte, in un angolo, con le mani nelle tasche dei pantaloni, come ammusonito, simile nei lineamenti, anche lui, a suo padre, ma in cambio della franchezza e della bonarietà, che spirava dal grosso faccione paterno, con qualche cosa di cattivo e forse di sinistro, nella fronte bassa, divorata dai capelli bruni e nel mento sporgente. E la più piccola, Bicetta, una brunetta un po’ smorta, dalla treccine nere, annodate di rosso che le venivano avanti, dal visino fine, come scorse il padre che stringeva Augustarello, fra le braccia, gli corse vicino, si attaccò alle sue ginocchia e gli disse:

— Papà, papà mio, ma tu vuoi bene a Bicetta tua? Le vorrai sempre bene, a Biciarella?

— O figliarella cara, cara! — esclamò, con poca voce, il padre. E liberato un braccio, reggendo con l’altro il poppante, cinse il collo di Bicetta e se la strinse al fianco.

Muta e sempre più cupa Mariuccia Pietrangeli stringeva la bocca, come a reprimersi; Bettina lasciava scorrere sulle bianchissime gote, le sue lacrime, senza parole e senza singulti.

— E tu Bicetta, gli vuoi bene, al pupo? Lo vedi, quanto è carino il tuo fratellino?

— Fammelo baciare: lo voglio baciare, papà, papà... — strepitò Bicetta, ergendosi sui piedi, tendendo le mani e il viso.