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— Cantavo... così... per distrarmi — ella mormorò. — Per distrarre Mario... Una canzone triste...
— E come si chiama questa canzone? — egli insistette, con un riso ironico, oramai, amarissimo.
— La chanson de Barberine — ella rispose, imbronciata, a capo basso.
— Porta il tuo nome? Ben trovata, cara! Potrai cantarla molto, durante la mia assenza — e la sua voce stridette, come una lima.
— Camillo, basta! — ella gridò, in collera;
— No, Barberina, non basta — egli rispose, quieto, serio. — Poichè, domattina, tu sarai a veglia e sonno, quando io partirò, vuoi ascoltarmi un poco, adesso? È necessario che ti dica qualche cosa, lasciandoti per molto tempo... forse per sempre...
— Camillo, tu mi spezzi il cuore! — implorò Barberina.
— Non parlare così; non è necessario — egli continuò, serio. — Barberina, sai che ti ho sempre voluto molto bene, troppo bene, forse; troppo bene, certamente, perchè quando mi sono accorto della immensa differenza, fra il tuo carattere e il mio, avrei dovuto amarti meno, o non amarti più...
Ella lo ascoltava, attentamente, con la testina un po’ inclinata e la bella bocca fresca schiusa.
— Così spensierata... così leggiera, così frivola, Barberina — egli riprese, come parlando a se stesso. — E così pericolosa, nella tua frivolezza...
— Pericolosa! Ma questa frivola ti ha amato, ti ama, ti amerà sempre! — e gli gittò le braccia al collo.
Egli non si sottrasse all’abbraccio e al bacio, baciò sua moglie; ma se ne disciolse, lentamente.
— Spero... spero che tu mi abbia amato — egli disse, pensoso, già mostrante tutta la sua tristezza.
— Ma non lo credi? Perchè non lo credi?
— Non so, Barberina... non so. La tua condotta lo sai, mi offende da anni...