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Essa lo guardò, come a una fonte di conforto, annuì col capo chino. Tacquero, di nuovo, insieme. Dal solotto, arrivò un suono debole di pianoforte e qualche suono leggiero di voce muliebre. Ambedue, si scossero.
— Chi vi è di là, Magda? — domandò il fratello, in un tono, ove sorgeva una ira improvvisa.
— Vi è Mario: solamente Mario.... — ella disse, confusa. — Era venuto anche lui, a salutarti.
— Ma chi suona? Chi canta? Barberina, è vero, canta? — egli proruppe, levandosi, seguendo l’impulso della sua collera.
— Sì, è Barberina che canta — ella rispose, timidamente.
— Stassera, canta: proprio stassera! — e le parole fischiarono, fra i denti stretti.
Il tenue ritornello, nella tenue voce, arrivava, fra i due, che, adesso erano vicini, ritti, uno accanto all’altro.
— Che le debbo fare, Magda, che le debbo fare, a costei, che canta stassera? — E nella domanda violenta, palpitava, anche, come una disperazione dell’impotenza a punire la indifferente.
— Niente, Camillo, le devi fare — gli disse, con una certa forza, la sorella. — Barberina è così: è stata sempre così: l’abbiamo sempre vista così. E leggiera, è spensierata, Camillo, ma, forse, è buona. Forse!
— Canta, Magda, canta! — egli esclamò, dolorosamente.
— La chanson de Barberine — disse, come a sè stessa, Magda Falcone. — E la dice a mio marito — soggiunse, per sè stessa.
— Che hai detto, sorella mia?
— Il titolo di quello che canta, sempre, tua moglie, da un mese, Camillo: La chanson de Barberine, di de Musset!....
— Senza cuore, senza cuore — egli proclamò, tetro.
— L’ha scoverta per l’occasione.... Mario gliel’ha cercata, nei magazzini di musica e gliel’ha portata.