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— Mamma mia grande — egli disse, con voce più grave della sua età e del suo viso. — Io ti amo con tutta la mia tenerezza; e amo Fausto teneramente. Io non debbo giudicare ciò che divide così aspramente, le vostre anime. Sento che ambedue avete ragione e siete in profondo dissidio: se uno di voi è in errore, io non so quale sia. Voi siete così lontani, mamma, con Fausto: ma io vi unisco, stretti, a me, nel mio amore.

Due lunghe lacrime, infine, scesero sulle guancie ardenti di Marta: e vi si disseccarono.

— Resta fra noi, figlio diletto: e saremo sempre uniti — ella mormorò, prendendo il suo figliuolo, fra le braccia materne, e tenendolo stretto al petto.

— Benedicimi, mamma — egli soggiunse, infantilmente.

— Benedetto, benedetto!

— E benedici, mamma, con me, l’assente.

Ella levò gli occhi dolenti al cielo e profferì le parole sacre, obbedendo alla volontà del secondogenito.

— Signore, benedite il mio figlio assente.

Egli si staccò, graziosamente, dalle braccia materne e si sedette, lì accanto, muto. Il tempo trascorse. Cheto, Giorgio si levò: con passi discreti, andò al pianoforte, lo schiuse. Assiso, nella penombra, con le mani delicate e agili, che sfioravano i tasti, egli suonò, in sordina, delle musiche antiche, delle musiche lente e tristi, che piacevano a sua madre. Ascoltava ella, in silenzio, con la tempia appoggiata a una mano.