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— Quando, più tardi, Gianni? — Antonia gridò, come folle. — Quando, dopo? — e il suo grido era sempre più folle.

— .... sai, sai... può accadere... — balbettò, già tutto tremante, il figliuolo.

— No, no, no! — urlò la madre.

Ella afferrò Gianni, fra le braccia, e se lo tenne stretto, da soffocarlo, e fra i singhiozzi senza lacrime, nella convulsione del suo corpo, mentre il figliuolo, così a lei somigliante, parte di lei, a lei riunita, singhiozzava senza lacrime ed era, come lei, convulso, Antonia parlò, gridò, urlò:

— Figlio mio, bene mio, amore mio, unico bene, unico amore mio, figlio, figlio, figlio, nessuno mi ti deve togliere, nessuno mi ti deve toccare, colpire, ferire, uccidere! Figlio, figlio, figlio, ti ho procreato fra i dolori, ti ho dato sangue e latte e amore, ho tutto sofferto, per te, ti ho cresciuto senza padre, Gianni, che hai solo il mio nome e tutto hai di me, io non so nulla, non voglio saper nulla, non ti dò a nessuno, Gianni, niente, niente, non ti do!

E Gianni Scalese, il figliuolo cresciuto senza padre, nelle braccia ferree di colei che gli era stata madre e padre, di cui portava il nome, Gianni Scalese stringeva le labbra sulle proprie parole di disperazione e levava al Cielo gli occhi disperati.


Marta Ardore e suo figlio Giorgio tacevano, insieme. Ella aveva levato il capo nobilmente coronato nella sua argentea capigliatura, dai suoi libri di contabilità dove, ogni sera, ella teneva in conto, minuziosamente, il movimento del denaro di casa Ardore. Ella aveva chiuso e accantonato questi libri, in un angolo della grande scrivania e aveva riposto la penna. Ora, ella si era volta verso quel-