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sottile linea di luce, fra la porta e il pavimento. Gianni non dormiva: Gianni vegliava. Represse un sospiro. Origliò, se giungesse rumore. Nulla. Appoggiata al battente, rimase, così, qualche minuto, dietro quella porta serrata: e udiva crescere il battito del proprio cuore anelante. Non osava entrare: non osava chiamare: e non poteva andarsene, poichè Gianni vegliava. Finchè con un gesto involontario stese la mano sulla maniglia, pianamente schiuse la porta, sogguardò. Suo figlio Gianni non si era coricato, dopo averle dato la «buona notte», sulla soglia della sua stanza, due ore prima: il letto era intatto, con il vestito da notte disteso sulla coltre, come le mani materne lo avevano amorosamente preparato, per il buon riposo del figliuolo. Gianni era seduto alla scrivania, volgendo le spalle alla porta, ma non parea che scrivesse. Non aveva udito schiudere la porta, non si accorse della presenza materna, che quando Antonia, gli fu presso e lo chiamò, soffocando la sua emozione.
— Gianni, figlio mio....
— Oh madre cara.... — egli rispose, levandosi, covrendo, con il dorso, la scrivania. Ella lo guardò bene: aveva il suo figliuolo, la espressione perplessa di chi è stato, di colpo, sorpreso, in qualche cosa, un pensiero, un’azione segreta. Ed ella stessa, comprendendo questo, prese un’aria semplice, chiese, con semplicità:
— Non sei andato a letto, figliuol mio? Non avevi sonno?
— Non avevo sonno, mammina — egli accettò, subito, la caritatevole scusa materna.
— Perchè.... perchè, Gianni, non avevi sonno? — ella domandò, quasi involontaria.
— Non so, mammina: succede.... — egli disse, vagamente, guardando altrove.
— Succede.... — ella ripetette, a voce bassa, a occhi bassi.
— Anche tu, mammina, non sei a letto: sei qui — egli soggiunse, piano.