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solo, come se volesse dir loro qualche cosa: ma le sue labbra non si schiudevano, e dalla sua parte non si udiva che il breve fruscio del foglio voltato, con la mano lenta, ove brillava solo il cerchio di oro delle sue nozze, il ricordo di colui che era stato il suo unico amore e che, adorandola, era morto troppo presto. I due fidanzati la dimenticavano, laggiù, in quell’angolo, muta e paziente leggitrice. Ogni tanto le mani di Loreta Leoni e di Carletto Valli si sfioravano quasi involontariamente, le dita s’intrecciavano, le due palme aderivano, e, allora, il sorriso di Loreta diventava intenso, di una passione che pareva la opprimesse, mentre Carletto Valli, trascolorando, si mordeva le labbra... Poi, lentamente, le due mani dei fidanzati si disgiungevano, e ricadevano, inerti, come esauste.

— Si andrà, dunque, Carletto? — ella chiese, pianissimo.

— Si andrà, certo, Loreta — egli rispose, sullo stesso tono.

— Andremo, amor mio — ella replicò, recisa.

— No, Loreta.

— Sì, Carletto.

Sempre pianissimo.

— Non è possibile, Loreta mia.

— Tutto è possibile, quando si ama.

— E se anche l’amore non riescisse, che farai, anima mia?

— Non so. So che non posso esserti lontana. Andrò lassù, e toccherò con la mia persona il limite più vicino a te, Carlo mio... — e la voce esprimeva tutto il segreto ardore di quella passione.

— Loreta mia, creatura mia diletta... — disse Carlo, sconvolto.

— Credi tu che io possa rimanere, qui, in Roma, a morire di angoscia, nell’attesa di una notizia, di una lettera? — proruppe, a voce alta a chiara, Loreta. E parve che quella dichiarazione fosse fatta su quel tono, perchè sua madre Carolina la udisse.