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caminetto, dettero il senso di un ambiente ricco e tranquillo, tutto muliebre. Qua e là, la cornice di un quadro dava un lieve scintillìo, una coppa di cristallo, che sembrava un soffio di aria, brillava sottilmente; e tutto in fondo, rassomigliava a Carolina Leoni, dal viso già sfiorito, malgrado non avesse molti anni, dalle labbra impallidite, dai morbidi capelli biondi che già s’imbiancavano tutti, e che conservava, però, Carolina, tutta la sua dolcezza giovanile, nella espressione dei suoi soavi occhi, nella sua pallida bocca, nei suoi gesti carezzevoli, nella sua fine persona ben fatta. E tutto, in fondo, quell’ambiente a cui la madre aveva dato la sua simiglianza, era in contrasto con la superba figliuola ventenne, la cui testa coverta dal casco dei neri capelli si ergeva, altiera, sovra la figura alta e svelta, il cui volto bianco, anche nelle sue linee pure, era segnato di una volontà ostinata. Spesso le sopracciglia sue, sottilmente e nettamente delineate, si accigliavano e rendevano ostile quel bel viso giovanile. Adesso Loreta Leoni non sembrava più annoiata; ma era la tacita collera dell’attesa che le si leggeva in volto. Quieta, pacata, levandosi lentamente i guanti, togliendosi il cappello e appuntandovi gli spilloni, con cura, Carolina Leoni parlava alla figliuola:

— Sono stata da donna Marta Ardore; la carissima amica è molto turbata, ma ha un animo così forte! Siamo andate insieme a santa Maria degli Angeli, peri il vespro. Loreta, quante donne, poverette, come noi, pregavano! Don Filippo Morcaldi ci ha dato queste belle immagini: ecco Gesù, il Principe della Pace; vi è anche una preghiera, dietro.

La figliuola, con occhi vaghi, guardava la madre e l’ascoltava, come se non la vedesse e non la udisse.

— Guarda, guarda, Loreta mia, queste figurette, sono così consolanti e le orazioni, poi, così commoventi — e gliele tese, con atto gentile, ma quasi timido.

Con un gesto del capo e della mano, gesto di fastidio, la figliuola le respinse.