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disfattissimo. Niente cavalleria, nonno, che è sempre corpo di parata. Niente artiglieria: colpisce da lontanissimo. Fante, fante, fante!

— È il mio animo che parla, in te, Guido — disse il vecchio, con voce roca dall’orgoglio e dalla tenerezza. — Fante, fante! Peccato, però....

— Che cosa, peccato?

— Allora, figlio, quando io mi son battuto, sai, erano guerre primitive.... Il fucile parlava.... Si andava uomo contro uomo.... Corpo a corpo.... — parlò il vecchio, come in sogno, come se rivedesse i suoi giorni di battaglia. — Guido, allora, la parola era: O ti uccido, o mi uccidi....

— Anche adesso, nonno — dichiarò fieramente il nipote. — Il fante, anche adesso, esce dalla sua trincea: si slancia contro quella nemica.... E il nemico è là, di fronte, che ti attende.... Anche adesso, nonno mio, per noi, fanti, il motto è: O uccidere o morire.

Mors tua.... — disse il vecchio torvo, minaccioso.

Vita mea.... — gridò, con gaio furore, il giovine. — Vita, vita, vita nostra, nonno! Ti giuro, vedi, per i tuoi lunghi anni, sempre da me benedetti, per la testa bianca, da me venerata, per il bene che mi vuoi, che io farò di tutto per non farmi uccidere! Ti giuro, nonno, che questo tuo fante di nipote, che si onora di chiamarsi Soria, come te, cercherà di ammazzarne quanti più ne può, di questi nostri eterni e nefandi nemici, i crudeli nipoti di coloro che ti ferirono a Custoza, che ti lasciarono per morto, a Custoza.... Giuro.... giuro!

— Sangue mio, sangue mio grande! — gridò il vecchio, alto, in piedi.

Don Francesco Soria e Guido Soria si abbracciarono, si baciarono, si tennero stretti, come in una promessa, come in un sacro giuramento, come se in questa promessa e in questo giuramento, si fosse mescolato il loro stesso sangue, vivido e ardente di odio e di vendetta.