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— Certissimo, come della mia vita e della mia morte! — proclamò l’ardente e giocondo nipote.

— La morte mia, Guido caro! — protestò, subito, il vecchio.

— Nè la mia, nè la vostra, nonno! La morte di tutti gli austriaci, nonno! Li vogliamo distruggere. Li vogliamo sterminare!

— Distruggere, sterminare, sì, Guido — confermò il vecchio, con voce forte e calma. E stese la mano per prenderne una del giovane, per stringerla energicamente.

Un sospiro si udì. Era don Giulio Lanfranchi, dimenticato, solo, poco distante.

— Oh! buona sera, don Giulio! — salutò, sorridente, Guido Soria, di cui tutta la fisonomia, subito riflesse la bontà e la cortesia. — Stamane avete visto mamma, è vero?

— La vedo, quasi ogni mattina, a san Camillo... — mormorò, a occhi bassi, il pretino.

— Don Giulio, ve ne prego, persuadetela, persuadetela, mammina mia, che la guerra è una necessità... Ella è così pia... Voi stesso, siete così pio, diteglielo, in nome di Dio...

— Lo tenterò, don Guido — rispose, fiocamente, il prete. — Ma le mie forze sono così deboli... Vostra madre soffre tanto... Tutte le madri soffrono immensamente... — E tacque, come soffocato dalla sua invincibile tristezza.

— Guido, lascialo stare, Giulietto: è prete, il suo cuore è di pasta frolla! Giulietto, sai che, ti voglio bene, e non ti offenderai... — disse il vecchio — Guido, dimmi, dimmi, donde la tua certezza?

— Si mobilita, nonno, segretamente: ogni notte cominciano a partire treni, ogni mattina giungono ordini, che a stento si tengono celati. Vi sono già raggruppamenti... È certo, è certo!

— Vedo, vedo, vedo! — esclamò il vecchio. — E tu, nepote caro, sai niente di te?

— Io sono fante, nonno mio, lo sai! — esclamò Guido, accendendosi nel volto, scintillando dallo sguardo. — E me ne vanto, nonno, e ne sono sod-