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e dolce nuora Carmela Soria e del suo vivace nipote Guido, il suo prediletto Guido, conforto ed esaltazione della sua vecchiaia.

— Genoveffa, sai se viene stasera, Guido? — domandò l’avo con la sua voce lenta, ma ferma.

— Non so, Eccellenza.

— Dovrebbe venire, dovrebbe — s’impazientò, subito, il vecchio.

— Volete che vada a domandare, al telefono, a donna Carmela?

— Va, va! — egli comandò. — Forse, forse, Carmela non saprà nulla... donne... donne... — egli finì di dire, come fra sè, mentre la governante era escita dalla stanza senza far rumore.

Breve assenza, Genoveffa tornò:

— La signora Carmela dice che il signorino Guido ha pranzato in fretta ed è scappato via, subito, per una riunione: una importante riunione....

— Riunione?... Bene, bene — disse il vecchio — Guido, tarderà ma verrà. Io lo aspetto, Genoveffa.

E s’immerse di nuovo, in quel silenzio dei vecchi, ove pare che essi riposino di tutte le stanchezze segrete, accumulate durante la loro vita: Genoveffa sferruzzava, paziente, essa che da tanti anni non aveva mai lasciato questo suo padrone. Trent’anni prima vi era entrata come servetta, e, a poco a poco, era salita di grado, per la sua devozione instancabile.

— lo voglio una tazza di the, Genoveffa — disse il padrone, uscendo dal silenzio.

The? Ma voi non chiuderete occhio, stanotte! — protestò, ma garbatamente la governante.

— E se non volessi dormire? Che t’importa? — egli rispose, con la sua subitanea irascibilità. — Vammi a fare il the, Genoveffa!

— Vado — ella mormorò, obbedendo, come sempre, da trent’anni — dicevo che il sonno è necessario....

— Avrò tempo di dormire molto.... a lungo.... più tardi — borbottò don Francesco Soria, parlando a sè stesso.