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amo!... Dio, Dio, Dio... — ella balbettava, come fra sè.

— .... ton bout de mégot... — concluse, cantando. Barbara Moles, tendendo le labbra schiuse verso Mario Falcone, come se volesse baciarlo.

Le coppie dei ballerini si erano fermate, ancora ansanti ancora palpitanti da quel contatto prolungato: ora, andavano lentamente, stanche, come esauste, verso le poltroncine, verso i canapè, per riposarsi. Diradandosi tutti, scorsero in quell’angolo lontano, soli, soli, Magda e Camillo Moles, che stavano lì, pensosi, e tristi. Magda con le mani che battevano nervosamente sui bracciuoli della poltrona e Camillo con la testa china sul petto, con le mani prosciolte, pendenti fra le gambe aperte.

— Oh ecco il mio Camilluccio, eccolo finalmente! — battè le mani la moglie, correndo a lui, che si era scosso, si era levato, sempre tacito.

Ella gli si buttò addosso, per abbracciarlo, ma egli aveva fatto un passo indietro, quasi a schivarla: poichè la testa della moglie restò un istante, sul suo petto, egli ne sfiorò fugacemente i capelli, con un bacio distratto:

— Che hai Camillo? Sei malato?

— No, Barbara.

— Sei stanco?

— No, Barbara.

— Ma tu hai qualche cosa, mio povero buon Camillo, che non sai fingere. — Ella insistette insinuante, carezzevole, cercando di prendergli le mani.

Le sue amiche, raccolte dietro a lei, con quella frivola cordialità mondana, il cui ritornello è sempre il medesimo, domandavano a Camillo Moles, se si sentisse male, se fosse troppo stanco, qualche gran processo, forse, è vero? Egli lavorava eccessivamente, non bisognava faticar tanto, che diamine! Egli si schermiva, negando, col capo, infastidito, mostrando tutto il suo fastidio.

— Ma che hai, Camillo mio, dillo, dimmelo! — Barbara pregò, giungendo le belle mani odorose.