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— Un milione, madre.
— È atroce, è atroce! — e si nasconde gli occhi come se le apparisse l’orrendo spettacolo.
— È una strage disumana, — egli confessa, nitidamente.
Marta lo sogguarda: ma non esprime la sua sorpresa.
— Fosti comandato, al tuo ufficio? — ella interroga, con autorità.
— L’ho chiesto io.
— E perchè, Fausto? — Marta chiede, imperiosa.
— Per convincermi, coi miei occhi mortali, che la guerra è una strage disumana.
— Ne sei, ora, convinto? — sempre più imperiosa, Marta.
— Sì, madre — egli dice, umilmente, aprendo le braccia, in atto di dedizione.
E colui che fu l’antico avversario di sua madre, si curva, prende la mano senile, la bacia di nuovo: gli pare che essa tremi troppo, sotto il suo bacio.
Un lungo silenzio.
— Vuoi vedere la sua stanza, Fausto?
— No, madre. Non posso.
— Hai tu visitato la sua tomba?
— No, madre. Non ho potuto.
— E perchè? Perchè? — ella chiede, impetuosamente.
— Son venuto a dirtelo.
— Che vuoi dirmi? Che cosa? — così ribolle la passione materna.
— Io parto, domani: debbo salutarti, oggi. Non so quando ti rivedrò.... Non so che sarà di me. Quindi, debbo parlarti e tu devi ascoltarmi. Non ci rivedremo, forse, più, madre....
— Dio dispone, Fausto. Parla.
— Ti ricordi che io mi assunsi il terribile incarico di dirti, che Giorgio, il nostro Giorgio che mi era più che fratello, figliuolo, era stato ucciso, in guerra, a venti anni?
— Mi ricordo.
— Ti ricordi il tuo urlo di orrore che era a me ri-