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presso una dama di alto riguardo. Ma egli non può ritogliere lo sguardo dal viso materno, dalla persona materna e nota tutte le stimmate, e vede il mortale deperimento di quella figura, volta verso la morte, anzi tempo, desiosa di morte: è in lui una immensa pietà, ma il silenzio della madre gli dà la misura della corazza d’orgoglio, in cui ella custodisce e difende il suo dolore.

— Ben trovata, madre.

— Benvenuto, Fausto.

— Come stai, madre?

— Quale mi vedi. Vivo.

Tacciono, ambedue, a occhi bassi.

— E tu, Fausto?

— Vivo.

— Sei qui, ora?

— Riparto domani.

— Ah!

— La mia fatica, mi richiama, lassù.

— Non so che sia, la tua fatica.

Egli esita un istante, a rispondere.

— Vi è un grande ufficio: siamo in molti ufficiali, a lavorarvi.

Ella non insiste. Egli riprende, come deciso:

— Stabiliamo, con le ricerche, con i documenti, la Stato Civile della guerra.

— Il numero dei morti, è vero? — e la domanda, è di una ironia spasimante.

— Sì, madre.

— Quanti?

— Non sai la cifra? Non vuoi dirla?

E il figliuolo rivede il viso fiero e ode lo sdegno dell’antica avversaria.

— Centomila? Più di centomila morti?

— Cinquecentomila — egli dichiara, precisamente.

— Oh! oh! — ella esclama e si cela il volto fra le palme. Poi, si scuote e si fa ansiosa: — E i feriti, i mutilati, gli stroncati?