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fotografia e i due, la madre e il figliuolo, sereni, uniti, paiono indissolubilmente uniti. L’altra traccia, è l’ultima cartolina inviata dal fronte di guerra, da Giorgio a sua madre e dopo due giorni dalla sua data, mentre la sua madre la riceveva, egli è stato ucciso. Essa l’ha fatta custodire in una cornicetta nera, di ebano. Si comincia a leggere: Mammà... E ogni sera, prima del suo così incerto, così travagliato sonno, ella fissa quella fotografia, piena di sole e rilegge in quella cartolina filiale, l’estrema parola del figlio. Nel letto, all’oscuro, con gli occhi aperti, ella cerca rammentarsi la voce di Giorgio, quando la chiamava e quella fresca bocca che aveva un movimento speciale:

— Mammà... mammà...

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— Signora, signora, vi è il capitano! — viene a dire, frettolosa e sorpresa, la servente di Marta Ardore alla sua padrona.

— Quale capitano, Francesca?

— Il suo figliuolo, il capitano Fausto.

— Vi era bisogno di annunziarlo?

— ... ma, signora... io non sapevo... — si confonde, sempre più, Francesca.

— Entra, Fausto — chiama il figliuolo, la madre che è giunta sulla soglia dell’anticamera, dove egli aspetta di essere introdotto.

Marta camminando lenta e Fausto seguendola, un passo indietro, entrano in salotto: ella si colloca nel suo seggiolone, egli resta ritto, innanzi a lei, guardandola fisamente. Non l’ha più vista, dal tragico giorno, in cui è venuto ad annunciarle la morte del suo ventenne, Giorgio, che ha versato tutto il suo sangue, dalla gola tagliata: e, al feroce, ferino urlo materno, Fausto Ardore è fuggito. Così lungo tempo! Adesso Marta gli tende la mano: essa è diventata tremula, senile, come il viso, come la persona. Fausto, chinandosi molto, bacia quella mano con reverenza. E, rialzandosi, l’ufficiale si siede, poco distante, con la compostezza di un militare, che sia in visita di cerimonia.