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marinaretto, di scuro, e da marinaretto, di bianco, sempre snello e pure muscoloso, sempre grazioso e pure con quella sua decisione, nello sguardo, tutta maschile, eccolo in alcune istantanee, col fratello grande, così più grande di lui, Fausto Ardore, con la sua imponente madre Marta, ma che, accanto a lui, è sempre irradiata da un sorriso interiore... Tutti questi ritratti sono messi accuratamente in cornici, sono disposti, qua e là, in modo che lo sguardo, girando intorno, ne incontri sempre qualcuno. In una più grande cornice, sono raccolti: un ricciolo di capelli castani a riflessi cuprei: una immagine, sacra, rappresentante un giovanetto innanzi alla Sacra Mensa e un’altra, che rappresenta il verso della prima, con le parole, in caratteri dorati: Ricordo della prima comunione di Giorgio Ardore, tredici giugno 1910: vi è unito un nastro bianco a frangie dorate, che il comunicando portava al braccio, in quella memorabile giornata. Non vi era, prima della morte di Giorgio Ardore, il pianoforte, in quella stanza: ma la stessa mano ve lo ha fatto trasportare, dopo, in un angolo. Vi è sopra, la stessa stoffa, che lo covriva, allora quando con le sue mani fini e agili, sfiorando elegantemente i tasti, egli suonava, in sordina, arie antiche italiane e ritmi di vecchie danze obliate. È aperto, appunto, sul leggìo, un albo, ove è la dolce e spasimante musica: Tre giorni son che Nina... E l’ultima che egli ha suonato, prima di partire. Sotto quelle mani, la bianca e nera tastiera, non darà più armonie, è muta per sempre. Vi è, sul letto bianco, ove egli non dormirà più, un quadro arcaico, quasi stilizzato, di origine germanica, forse, in cui un guerriero tutto vestito di ferro, a cavallo, punta una lunghissima lancia, nella gola del vinto dragone. È san Giorgio, protettore del ventenne. Il santo che vinse il dragone, non potette salvare il giovine Giorgio, da quell’affamato dragone, divoratore di uomini, che è la guerra.

Tutta vestita di opaca lana nera, con una cuf-