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canto al suo letto. Poco dopo, la luce si spegne, perchè il viandante sconosciuto chiama a sè il sonno, necessario a chi deve, forse, partire l’indomani, per un altro lungo viaggio.
Difatti, il capitano Camillo Moles si leva presto; fa un’accurata toilette, prende la sua prima colazione, chiude la sua cassetta militare, chiude la sola valigia che avea aperta, le raccoglie insieme, bene in vista; le due lettere che eran sul comodino, sono nella tasca interna della sua giubba. Distratto, due volte, con la mano, si assicura che le ha messe in tasca. Ed esce dalla camera dell’albergo, camminando col suo passo militare, eguale, verso la sua casa, in via Boncompagtii. Vi è poca gente, in quella via di lusso di Roma, ove nei villini, negli alberghi, tutti dormono fino a tardi. Anche in via Boncompagni, s’incontra solamente con qualche raro viandante. Sono le nove, quando Camillo Moles entra nel suo portone e schiude la porta a cristalli della portineria. Sulle prime, Caterina, la portinaia, non lo riconosce e lo guarda, stranita: quando lo riconosce, ha un movimento di tale meraviglia, che le fa balbettare:
— È lei, capitano... è lei...
— Sono io, Caterina, buongiorno...
E fa per avviarsi verso le scale.
— Signor capitano... la signora non vi è...
— È fuori Roma?
— No... sì... no, mi sbaglio, è uscita molto presto, stamane...
— Ah!
— ... ma starà poco, a ritornare...
— Come lo sapete? Ve lo ha detto?
— Sì, sì, ora mi ricordo... L’aspettava... Doveva giungere un telegramma...
— Sono giunto io.
E tutto il dialogo è fatto, con una confusione massima di Caterina, la portinaia, e con naturalezza e indifferenza, da parte del capitano Moles,
— Vi sarà una cameriera, sopra?