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Costantini tarda. Accende una seconda sigaretta: ma non è giunto a far due boccate, che vede spuntare qualcuno da dietro la chiesetta, e dirigersi verso lui. Istintivamente, gitta la sigaretta, fa qualche passo indietro. Interroga, con gli occhi, colui che è andato a ritrovare il cimiteretto e la fossa dell’austriaco:

— Che pietà, signor tenente... Non può immaginare... una pietà grande... Debbono avere sparato, sul camposanto, e tutta la terra è smossa, è scavata, è ammucchiata, e si vedono frammenti di croci... pietre ed erbacce... Già, il villaggio non esiste più e non si celebra, in chiesà... Nessuno deve essere più tornato, da queste parti...

— Allora, andiamocene — dice Soria, voltando le spalle.

— La fossa del luogotenente austriaco è intatta. La sola intatta — dice Costantini.

— Ah! — e questa interiezione è, improvvisamente, un gemito, un lamento, un singhiozzo.

E, senza altro, con andare precipitoso Guido Soria fa i dugento passi che lo separano dalla chiesetta, vi gira dietro, seguito da Costantini, che è tutto tremante di emozione.

— Dove, dove, Costantini?

Costui attraversa quel campicello dei morti, tutto devastato dalla mitraglia che, meglio guardando, è ancora mescolata alla terra, coi suoi detriti: non vi è più segno di fosse: e una o due croci, ancora, pendono, scardinate, qua e là, mentre altre sono abbattute e in pezzi, fra i solchi, fra i mucchi di terra e di pietre. Soria segue l’altro, a occhi bassi; l’altro, adesso, si è fermato, in un angolo estremo del cimiteretto distrutto. Colà, la fossa di Hans Flugy ha conservato il suo grossolano disegno di terra: e vi è cresciuta l’erba, in primavera e, adesso, l’erba v’ingiallisce sovra, per l’autunno. La croce è ritta, in cima alla fossa, rimasta al suo posto, con la sua targhetta attaccata col fil di ferro, al punto dove i due bracci della croce s’incontrano. La pietà pel morto del