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conosce il truce segreto. Perchè non è, Costantini, a casa sua, nella sua merceria, a vendere quaderni di scuola ai bambini, filo da rammendare alle donne e cromatina per le scarpe, agli uomini? Che ci fa, qui, in questa solitudine, in questo gran silenzio, accanto a un uomo che è in preda a un’esaltazione spaventosa?

— Costantini, andiamo a cercare la fossa del luogotenente Hans Flugy, che io ho giustamente ucciso, usando del mio diritto, perchè eravamo in guerra, ed egli era mio nemico — proclama, forte, Soria.

Il compagno è novellamente scosso, sino al profondo. Ma ciò che dice il suo ufficiale è così rispondente al pensiero del caporale, che, d’un tratto, costui riprende coraggio e si avvia. Camminano, in silenzio: tutta la topografia si rifà, nella mente di Costantini: egli svolta per il piccolo sentiero, una scorciatoia, poi riprende la strada maestra: l’altro gli va accanto, con passo eguale, come a una passeggiata igienica. Sembra, adesso, dominato dalla indifferenza. Anzi, a un certo momento, accende una sigaretta, con atti consueti. Hanno camminato una ventina di minuti: e si delinea, in fondo all’orizzonte, il piccolo campanile della chiesetta di Valdivia.

— Ci siamo, signor tenente....

— Avanza un poco, Costantini: io ti seguo, più piano. Quando hai trovato il cimitero e la tomba, torna indietro, a dirmelo — e tutto è tranquillo, nelle parole e nel tono. Guido Soria pare penetrato di una gelida indifferenza.

È a un duecento passi dalla chiesetta, dedicata a santa Margherita da Cortona, che Guido Soria è fermo, aspettando il ritorno di Costantini. La chiesetta è tutta scalcinata, nella sua rustica facciata; una parte del tetto è sfondata, manca un battente alla grezza porta: ma essa è in piedi. E se pure le mura del campaniletto hanno dei buchi e delle breccie, esso è ancora ritto, nella chiara luce mattinale, sotto un cielo azzurrino. Aspetta, Soria: