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retto sbocconcellato: appare un tetto sfondato sovra qualche muro cadente: nessun campanile all’orizzonte. I due uomini, ogni tanto, scambiano una triste occhiata, senza parole: e si rimettono a scrutare, intorno, per raccapezzarsi, per rifare nella loro memoria e nella presente realtà, il posto dove vissero tanto tempo della loro vita di guerra, dove patirono tanti disagi e dove il tedio tinse di bigio le loro anime intorpidite. Interrogano, adesso, molto spesso, il cocchiere: egli crolla il capo, fa schioccare la frusta e fa camminare più presto il suo cavalluccio. La delusione dei due uomini è sconfortante. Perchè sono venuti, quassù, così da lontano, con una così folle speranza? Dove si trovano? Dove vanno? Dove è un indizio, una pista, un sentiero?
— Ah se ci fosse Franceschi! — gli scappa detto, di nuovo, a Giacomo Costantini.
— Taci, taci... — è la sorda risposta di Guido Soria.
Ma come se il nome del fiero soldato avesse, a un tratto, fatto diradare, miracolosamente, il velo fitto che era, intorno, a un tratto, la mano di Guido Soria stringe rudemente, come se fosse ferro, il braccio di Costantini: egli dice, violentemente:
— Ecco, ecco, ecco!
— Dove? Dove?
È a sinistra. Si accorgono di essere esciti dal fondo della valle e di ascendere verso un’altura, non devastata, non brulla, un’altura che si fa collina, e le sue prode sono erbose, e più lontano è qualche macchia di verde, sfumata, forse il primo gruppo di alberi di un boschetto o di una boscaglia.
— Sono là, sono là dietro, le nostre trincee... — fiochissime parole di Guido Soria, che si è rigettato indietro, nel calessino, come abbattuto da quello spettacolo.
Giacomo Costantini è in piedi, volto verso la collina a cui si dirige, per il sentiero piut-