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— Era un soldato, Franceschi: e, l’altro, era un nemico... — dice, piano, Costantini. — E questa era la guerra...

— Che mi aveva fatto, l’altro? Niente, mi aveva fatto. E Franceschi mi ha ingannato, mi ha spinto al delitto...

Eccitatissimo, Guido Soria; per fortuna, sono restati soli, nel treno in arrivo.

— Franceschi era sanguinario: e tu eri buono, Costantini. Dio ti premierà della tua bontà...

Mai, da che lo conosce, Giacomo Costantini, ha udito nominar Dio, da Guido Soria.

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Il calessino trabalza sulle pietre della via, scende nei solchi scavati dai carri nel fango disseccato, e, ogni tanto, i due viaggiatori sono urtati, un contro l’altro. Il giovanotto che conduce il cavalluccio magro, ma muscoloso e vispo, ha alzato il bavero del suo mantello e ha il berretto abbassato sugli occhi. Discesi dall’automobile all’ultimo paese della Valsugana, non hanno trovato altro mezzo di trasporto, per andare ai campi di battaglia, intorno a Strigno, che questo calessino stretto e incomodo: ma il cavalluccio cammina bene e, pare che il giovanotto conosca la via. Il nome di Valdivia nulla gli ha detto: e in cambio, egli ne ha pronunciato un altro: ma, parlando, ha fatto comprendere che sapeva dove andare. Si trotta da più di un’ora: e i due, guardando, continuamente, innanzi, intorno, spingendo lo sguardo all’orizzonte, non riconoscono una sola linea del paesaggio che attraversano. La campagna conserva tutte le tracce del flagello di ferro, di fuoco e di sangue che l’ha bruciata, isterilita sino al profondo: e se una nuova, spontanea vegetazione, qua e là, riveste di verde le zolle, la terra rimane nera, tutta detriti di metalli, di carbone spento, di cenere: e se su qualche albero scapitozzato, un ramicello fresco è cresciuto, i grandi rami sono brulli e contorti. Ogni tanto, qualche grosso, informe mucchio di pietre appare: appare un mu-