Pagina:Serao - Mors tua.djvu/302


— 294 —


— Era un uomo, come me: e aveva diritto di vivere la sua vita: e io, ferocemente, gliel’ho tolta!

Costantini non sa più cosa opporre allo strazio segreto di quella coscienza, che si è, adesso, fatto palese, innanzi a lui. Egli tace, guardando spaurito il suo tenente, che è molto più malato nell’animo che nel corpo: e il brav’uomo curva la testa, innanzi a quella crisi terribile. Guido Soria si leva dal suo posto, si avvicina a Costantini, gli mette le due mani sulle spalle, lo fissa intensamente negli occhi e con voce sorda, gli dice:

— Costantini, tu che sei stato sempre buono, in guerra, tu che ti sei tolto il pane di bocca, per darlo ai prigionieri, tu che hai dato sepoltura a Hans Flugy, e hai messo sulla sua fossa la croce di Cristo, dimmi, che cosa dicono gli occhi di quel morto?

— Ma io non lo so.... io non posso saperlo.... io sono un ignorante....

— Non lo sa la tua mente, ma lo indovina il tuo cuore.... Tu sei stato pietoso.... Tu puoi leggere in quegli occhi.... Guardali, guardali!

— Ma che vuole mai da me, signor tenente? Io mi confondo.... io perdo la testa!

— Per amor mio, se mi hai voluto bene, Costantini, guarda, guarda, indovina, leggi!

E con una mano di ferro curva, novellamente, la testa del buon marchigiano, sulla delicata miniatura, ove è l’immagine giovanile e innocente di colui che fu ucciso. Aggiogato, soggiogato, Giacomo Costantini veramente scruta in quegli occhi e con tutte le sue semplici forze spirituali, cerca d’indovinare che cosa mai possano esprimere: dopo due o tre minuti di esame, si solleva e dice, come in sogno:

— Mi pare....

— Che ti pare?

— Mi pare che dicano, a lei, signor tenente: «Che ti avevo fatto?» E che soggiungano: «Io non ti avevo fatto niente».