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forse, perchè si doveva fare? Sempre pensavo alla mia Rosettina, ma mi sono battuto.

— Benissimo, ti sei battuto, Costantini! — risponde, alterato, Guido Soria.

— E lei, e lei, signor tenente? Due medaglie è vero: ma una sola gliene dovean dare, quella di oro.

— Ho invano cercato la morte, in quella infame guerra — dice Guido Soria, spalancando in viso, a Costantini, due occhi allucinati.

— Signor tenente!

— Se fossi morto, Costantini, tu mi avresti pietosamente sepellito, è vero? Come quell’altro? Se ha sepoltura, quell’altro, si deve alla tua carità... Tu eri caritatevole e io spietato!

Giacomo Costantini ascolta, guarda, stupito. Guido Soria, e comincia a intendere, sgomento, quale sia il male da cui è divorato il suo tenente.

— Lo sepellisti, sì; ma non arrivasti a chiudere i suoi poveri occhi chiari, aperti... — vaneggia, parlando con una voce sommessa, Guido Soria. — Avrebbero voluto ancora guardare lo spettacolo del mondo, quegli occhi così giovini....

Ascolta, Costantini e il suo buon viso colorito, s’impallidisce.

— Vuoi rivedere, Costantini, quegli occhi? — dice, anche più sommessamente, Soria, guardandosi attorno. — Li ho, qui....

Cresce lo sgomento del bravo marchigiano, mentre Guido Soria, con una chiavetta sospesa alla catenella del suo orologio, schiude un cassetto della sua scrivania e ne prende quello che, in un giorno lontano, egli chiamò il suo trofeo di guerra. È il taccuino di raso azzurro cupo ricamato a fili di argento, ove sono inserite le due miniature, quella del luogotenente austriaco Hans Flugy e della sua bionda e rosea fidanzata Lotti Rabitsch: il portafogli di pelle bruna, ove erano conservate le due ultime lettere, una di Lotti, la dolce e tenera Lotti, e una della madre del luogotenente, Yetta Flugy, che congedandosi baciava gli