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— E stai bene, anche, mio Costantini, molto bene, veggo! — gli sorride amicalmente.

— Anche lei, mio signor tenente, sta bene.

— Eh no, no, io non sto bene, amico mio — risponde, improvvisamente mutato di aspetto e di voce, Guido Soria.

— Ma che ha, signor tenente? È stato malato? È convalescente? Un po’ smagritello, certo.... Ancora stanco, è vero?

Costantini sogguarda colui a cui gli piace seguitare a dare il titolo di tenente, e questo titolo militare gli riempe la bocca, pronunziandolo. Non solo gli sembra dimagrito, il suo tenente, che era stato così bello e florido e lieto, in guerra, ma gli appare invecchiato e triste.

— I miei nervi soffrono, Costantini.... — mormora Soria, sedendosi e facendo cenno di sedere all’altro.

— Eh si sa, si sa, signor tenente! Quattro anni di guerra, contano, contano assai! E tanti giovini, come lei, creda, sono ammalazzati e stanchissimi, e non arrivano a tirarsi su, di nuovo: pare quasi che ne abbiano fatto dieci di anni, di guerra!

— Ma tu, Costantini, stai benone!

— Oh io, signor tenente, sono così rozzo, tagliato con l’accetta, non ho nervi, io! Ma lei, un signore vero, si spiega che lei patisca ancora, di tutte quelle maledette cose della guerra.

— Io non patisco che di una sola, orrida cosa — risponde, impetuosamente, Guido Soria.

Ma si contiene e soggiunse:

— A te non piaceva la guerra e avevi ragione: io ne ero pazzo e avevo torto.

— Lei non poteva, non può aver torto, mio signor tenente — protesta, Costantini. — Poveraccio come ero, avendo a casa la madre vecchia e la moglie giovane, e Rosetta, Rosettina, la mia figliuolina, io mi struggevo, dentro, per la guerra, perchè i miei hanno sofferto la fame, e lo sapevo, e non potevo far nulla per loro.... Ho detto mai nulla? Mi struggevo, ecco! Non mi sono battuto,