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così invecchiato, così consunto, così esausto, che non prosegue. Egli non risponde alla frase cinica. Dice:

— Tu gli vuoi bene, a Checco?

— Gli voglio bene.

— Egli te ne vuole molto, del bene?

— Moltissimo. Ed è geloso assai, Checco: e anche manesco. Così...

— Che vuoi dire. Mariuccia?

— Che sono in ritardo, a casa: e che avrò una brutta scena, rientrando. Se si accorge di qualche cosa, piovono gli schiaffi...

— Io non ti ho mai battuta, Mariuccia — egli esclama, appassionato.

— Checco è un altro uomo — risponde, con orgoglio, Mariuccia. — E te ne prego, Cesare, non mi aspettare più, non mi fermare più.

— ...

— Tanto, ci siamo salutati: abbiamo parlato. Che dobbiamo dirci più? Niente.

— Niente... — Cesare ripete, a bassa voce.

— Contentami, eh, Cesare? Non ci venire, più, da queste parti. Checco può saperlo... E da te, proprio, non lo sopporterebbe.

— Oh da me! — egli protesta, amarissimamente.

— Ci conto, Cesare. Buona sera.

— Buona sera — egli risponde, inconsciente. Mariuccia, infine, riprende la sua strada, sui suoi tacchetti alti, che battono egualmente sul selciato: svolta, laggiù, in una delle traverse dei Prati e scompare. Cesare Pietrangeli la segue con lo sguardo: poi si ritrae sotto gli alberi, si va ad appoggiare al parapetto dell’alto muraglione, sotto il quale viene dalla campagna Flaminia, il Tevere e va, va, verso l’Urbe, per traversarla e, poi andarsene alla campagna e al mare. Fermo, Cesare Pietrangeli, guarda le acque fluenti senza vederle, ripete a sè stesso, prima confusamente e poi più precisamente, tutto il suo dialogo con sua moglie Mariuccia: e ne rivede il volto, nelle sue sempre malvagie espressioni, ne ode la voce, sempre

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