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— Una volta — e fa un gesto, come se tutto fosse piombato nel passato.

— Abbiamo dei figli, insieme, Mariuccia! — Cesare esclama, tutto dolorante.

— Ebbene? — ella chiede, sdegnosa,

— Ah Mariuccia, Mariuccia, ti sei scordata di Augustarello nostro! — e le lacrime pare che soffochino le parole del padre trafitto.

La donna abbassa un istante gli occhi: ma, subito, risponde, tranquilla:

— Oh quello è in Paradiso, sta meglio di noi...

— Ma Bettina, Bettina nostra si è perduta... era un angelo, Bettina... — si lamenta il povero padre.

— Se fosse stata angelo, non si perdeva — ribatte, amara, Mariuccia. — Del resto, vive come una signora.

— Mariuccia, Cecchino è in carcere!

— Meglio che vi sia andato piccolo, che grande: ora, si correggerà — è sempre acerba, la risposta.

— E Bicetta nostra? Così buona, così amorosa, Bicetta... E non ti ha vista più, non le scrivi nemmeno più!

— Quella non ha bisogno di me. Ha la sua mamma Tuta — conclude, sdegnosamente Mariuccia.

L’uomo china il volto, quasi fosse vinto: la donna lo sogguarda, comprimendo a stento la sua impazienza irosa.

— E noi due, Mariuccia, che eravamo marito e moglie? Che avevamo una casa, insieme? Persino i mobili, ti sei venduto! Il letto maritale, hai venduto!

Ella fa un cenno di disprezzo con le labbra, guarda con disprezzo il volto smorto, di suo marito e gli dice, duramente:

— Posso pagarteli, i tuoi mobili, e il letto, e le casseruole, anche, se ti serve questo denaro... Li cerco a Checco, i denari, e te li do, e la finiamo!

— Mariuccia! — egli grida, esasperato, infine.

La donna si scuote, un momento: diventa meno aspra: soggiunge, lentamente:

— Forse sei senza lavoro... forse puoi aver bisogno di denaro... La roba era tua...