Pagina:Serao - Mors tua.djvu/294


— 286 —

ma nella sua bruna capigliatura, brilla qualche cosa: è vestita di scuro, con qualche biancore di lino, attorno al collo nudo: i suoi tacchetti alti battono sul selciato. Adesso, passando sotto una lampada elettrica, si scorge un viso bruno dalla espressione aggrondata, due occhi neri e fieri, sotto le sovracciglia un po’ troppo vicine, una bocca ancora fresca, ma chiusa e senza sorriso. Camminando, dondola la sua borsa di pelle: ha una sciarpa sul braccio: non guarda intorno, ma va diritta verso la sua meta. Di dietro un albero, dove si teneva in attesa, un uomo si distacca, si avanza, verso lei, con un passo affrettato, ma incerto: la chiama, due volte, con piccola voce, ma distintamente.

— Mariuccia, Mariuccia!

La donna trasalisce, si arretra di un passo, si ferma e, forse, nella penombra, la sua faccia bruna si decompone: dopo un istante, fa un gesto risoluto, come a scartare un ostacolo fastidioso, e cerca riprendere la sua via, senza guardare chi l’ha chiamata e ha voluto fermarla.

— Mariuccia, non mi riconosci? Sono Cesare... — e mentre le sue parole tremano sulle sue labbra, le sbarra il cammino.

La donna comprende che non può sfuggire a quell’incontro, leva le spalle in atto di fastidio, alza la testa, guarda l’uomo, e risponde, acerba:

— Ti riconosco. Sei Cesare. Che vuoi?

— Salutarti, Mariuccia... — ed è sempre trepida, la voce e lenta la parola: ma l’uomo taglia la strada alla donna.

— Ci siamo salutati. Buona sera, Cesare — e Mariuccia fa per andarsene, con un atto impetuoso.

— Abbiamo da parlare, Mariuccia — egli soggiunge, paziente, ma ostinato. — Dobbiamo dirci tante cose...

— Niente, Cesare, abbiamo da dirci — ella replica, frenandosi, mordendosi le labbra.

— Dimentichi che sono tuo marito, Mariuccia... — egli le dice, un po’ più forte.