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Molto più presto del consueto, rientra, quella sera, al suo riposo, nella sua stanza da letto, don Filippo Morcaldi. Cammina piano: e il suo Domenico lo segue, passo passo, per apprestargli le sue cure, come fa, ogni sera e, fra loro scambiano qualche parola, poichè il vecchio sacerdote è molto affettuoso col suo fedele familiare. Quella sera, don Filippo non parla. La sua stanza da letto è molto vasta, parata di una stoffa verde mirto, con mobili antichi di legno scolpito e intagliato, e un gran letto, a colonne che sostengono un baldacchino, con tende verde mirto: tutto ciò è molto cupo. Poco lontano dal letto, vi è un inginocchiatoio bruno, con i suoi cuscini verdi: è collocato innanzi a una mensola ove è una lampada che arde sempre, e, sul muro, vi è un quadro del dolcissimo san Filippo Neri, un quadretto della Madonna del Magnificat di Botticelli, un piccolo bassorilievo di ceramica fiorentina, bianca e azzurra, col san Giovannino di Donatello. Vede, Domenico, che il suo padrone invece di andare a letto, si dirige verso l’inginocchiatoio; comprende che il vescovo, si trova in una delle sue sere di cogitazione segreta: egli le conosce, queste sere in cui sembra, più che mai, che il sacerdote abbia bisogno di dire tutto l’animo suo alla Divinità. E il servo:

— Quando mi vuole, monsignore, sono lì fuori....

— Va’ a letto, sarai stanco, Domenico.

— No, monsignore: non sono stanco. Aspetto il campanello.

E si allontana. Don Filippo si genuflette sul cuscino dell’inginocchiatoio, poggia i gomiti sul piano di esso, covre i suoi occhi con le sue mani e si raccoglie profondamente. Adesso, la sua anima è sola e nuda, innanzi alla Divinità: